Il grande sviluppo tecnologico dell’ultimo decennio ha cambiato e sta tuttora cambiando completamente molti dei settori cardine dell’economia mondiale. Tra i principali mercati ad essere intaccati dalla digitalizzazione figura senza dubbi anche il mondo della finanza, a partire dalle attività bancarie tipiche di raccolta del risparmio e di concessione del credito, fino a quelle di consulenza e supporto agli investimenti finanziari.
È dunque opportuno cercare di fare chiarezza su un tema costantemente in evoluzione, in cui l’innovazione corre molto più velocemente della normativa e della capacità degli attori di adattarvisi; per tal motivo il team di Kalaway ha deciso di pubblicare una serie di approfondimenti sul mondo Fintech, nell’intento di fornire alle imprese una mappa grazie a cui orientarsi tra le svariate sfide ed opportunità che finanza e tecnologia portano con sé.
Nello specifico, in questo articolo d’introduzione al tema, tratteremo:
- Che cos’è il Fintech
- Origini e dinamiche del Fintech
- Fonti e bibliografia
Che cos’è il Fintech
Il termine Fintech deriva dalla sincrasi delle parole financial technology, ovvero tecnologia finanziaria. È stato coniato per indicare le sempre più presenti imprese di servizi finanziari totalmente digitalizzati, le quali, sfruttando i vantaggi della tecnologia, sono in grado di rappresentare un’alternativa più veloce, snella, efficiente e facilmente accessibile rispetto a quelle offerenti servizi tradizionali, che poggiano ancora su uno scambio di informazioni vis-à-vis e che richiedono molte volte la presenza fisica del cliente.
Nell’ambito Fintech è inseribile un ampio numero di servizi finanziari, tanto che il colosso della consulenza Pwc ne ha individuato, nell’Osservatorio a esso dedicato, quasi sessanta diversi segmenti di specializzazione, divisi in dieci macrocategorie; tra queste categorie rientrano Payment, Cybersecurity, InsurTech, Money Management, Lending, Wealth & Asset Management, Capital Market & Trading, RegTech e Crowdfunding.
Ogni categoria delinea un particolare ramo di attività, dai servizi di pagamento digitale (compresi i pagamenti in criptovalute, mercato in forte crescita di cui faremo una disamina in questa serie di approfondimenti), ai servizi di controllo antifrode, di sicurezza web e crittografazione, fino a quelli di assicurazione, di gestione delle entrate ed uscite individuali, di prestiti tra privati o tra aziende, di raccolta di capitale e di gestione del patrimonio: ogni possibile attività di natura finanziaria sta via via trovando la sua veste digitale.
Per tal motivo, considerare il Fintech come settore a sé stante, rischia di minare l’interpretazione che si ha del mondo della finanza (largamente inteso) e dei relativi confini. Questo perché il Fintech, o la “Tecnofinanza”, come viene talvolta tradotta in italiano, è la fisiologica congiunzione di un settore ormai ben conosciuto, la finanza, con la continua innovazione tecnologica, che sta riscrivendo costantemente le variabili chiave dell’economia. Non è quindi irragionevole immaginare che in un futuro non molto lontano Fintech e finanza coincideranno, dato l’incedere della digitalizzazione, che sta obbligando tutti i player finanziari ad innovare completamente i propri processi e la propria value proposition, pena la perdita di significative quote di mercato.
Qualcuno potrebbe chiedersi – gli operatori finanziari se lo sono chiesti per molto tempo, e alcuni ancora se lo chiedono – “In che cosa il Fintech è superiore rispetto alle banche ed ai servizi finanziari tradizionali?”, o anche “Perché semplicemente le banche non si digitalizzano, senza dover fare spazio a questi nuovi e sconosciuti player tecnologici?”. Ebbene, la questione merita di essere analizzata nel dettaglio.
Le imprese nate allo scopo di offrire un servizio finanziario totalmente digitale fondano il proprio valore aggiunto sull’utilizzo di tecnologie avanzate e di linguaggi di programmazione più recenti, che rendono flessibile e rapido l’insieme delle operations, e in primis consentono loro di avere un accesso rapido e automatizzato ad una enorme mole di dati. In poche parole, esse bypassano le lungaggini burocratiche e di ricerca delle informazioni, pescando direttamente il dato chiave grazie a dei processi informatici avanzati.
Tale innovazione è dirompente in quanto
le tempistiche generalmente necessarie ai prestatori di servizi finanziari tradizionali vengono ridotte enormemente; basti pensare, per esempio, alla concessione del credito alle piccole e medie imprese:
secondo un analisi di McKinsey del 2018,
per la delibera di erogazione di un prestito da parte di un istituto tradizionale, una PMI avrebbe dovuto attendere tra le 3 e le 5 settimane; grazie alla digitalizzazione dei processi informativi, questo tempo si riduce fino a 2-3 giorni.
Inoltre, il ricorso a tecnologie all’avanguardia rende possibile, per le Fintech, lo sviluppo di una piattaforma o di un’app che risulta ai clienti intuitiva, chiara, user-friendly, e che semplifica loro l’accesso e la gestione del servizio finanziario in questione.
Per quanto riguarda la seconda questione, ovvero perché le banche tradizionali non si digitalizzano sul modello delle realtà Fintech, il motivo è che queste si trovano il più delle volte in situazioni prossime al lock-in tecnologico, cioè in cui cambiare il proprio assetto tecnologico presenta dei costi di passaggio elevati, tanto da scoraggiare il cambiamento stesso. Questo accade poiché le banche classiche si trovano ad utilizzare sistemi informativi ed operativi obsoleti, ma che sono ormai radicati all’interno di tutta l’organizzazione. Si pensi per esempio a una banca sistemica, con migliaia di filiali, che di punto in bianco decide di passare da un gestionale ad un altro: il costo in termini di comunicazione, coordinamento, recupero dei dati preesistenti, adattamento ed apprendimento da parte degli operatori, insieme all’esborso monetario a sostegno del programma, è una variabile che ostacola in misura significativa l’innovazione ed il passaggio alla nuova tecnologia. Da ciò ne risulta che il più delle volte, per gli istituti, perseguire una collaborazione con queste nuove realtà digitali in ottica open innovation, piuttosto che tentare di compiere il salto “da soli”, è la soluzione preferibile. Torneremo su questo aspetto nel seguente paragrafo.
Origini e dinamiche del Fintech
La nascita del Fintech viene fatta risalire al periodo post-crisi del 2008-2009, dopo che la fiducia degli operatori economici e dei privati verso gli istituti bancari era scesa ai minimi storici. Il crack finanziario aveva portato alla luce la mala gestio di molte grandi banche, cosicché molti dei loro clienti erano alla ricerca di soluzioni alternative che garantissero loro una maggior sicurezza e che li mantenessero costantemente informati sulle loro disponibilità finanziarie e sui relativi movimenti.
È stata questa l’opportunità di mercato che molti soggetti hanno colto, iniziando a riflettere su come sviluppare un’azienda di natura finanziaria che avesse come volano quello della tecnologia e che rispondesse con efficacia al bisogno dei consumatori.
Sul tracciato dei primi esempi di platform economy, quali Amazon, Uber ed Airbnb, ha visto la luce, nel corso del tempo, un gran numero di startup finanziarie digitali. Gli Stati Uniti sono stati il primo mercato a “prendere quota”, seguiti poi dall’area dell’Asia-Pacifico e dall’Europa. Nel 2015, secondo una lista stilata da Forbes, tra le maggiori società Fintech figuravano Acorns, californiana specializzata in microinvestimenti e roboadvisory (trattasi di consulenza patrimoniale-finanziaria basata sui dati specifici dell’investitore, e senza il tramite di un consulente fisico); la londinese Algomi, focalizzata sul fornire consulenza digitale per il mercato delle obbligazioni; Avant, con sede a Chicago, specializzata in concedere prestiti ai privati in maniera veloce e completamente digitalizzata; Fundera, newyorkese che propone ed eroga soluzioni finanziarie alle piccole imprese; Fundrise, con sede a Washington D.C., incentrata sul crowdfunding immobiliare; Kensho, fondata da Harvard e dal MIT, che, combinando i Big-Data più recenti a tecniche di machine-learning, offre consulenza su come gli eventi del mondo influiscano sui mercati; TransferWise, che elimina le commissioni extra sui trasferimenti di denaro internazionali, trovando soggetti paganti in valute diverse e facendo loro scambiare la somma, questo solo per citarne alcune (la lista completa è consultabile qui).
Questo per attestare che nel 2015 esistevano già molte imprese Fintech operanti nei più disparati rami d’attività. Tuttavia, è bene sapere che, in precedenza, vi erano già stati dei casi pionieristici di servizi finanziari digitalizzati, uno fra tutti PayPal, il quale, dal 1999, rappresentava il primo strumento per trasferire denaro tramite internet, senza dover passare per altri intermediari. Come detto però, i tempi sono diventati maturi a seguito della grande crisi del 2008.
È in quella contingenza che ha avuto avvio il vero sviluppo del Fintech, per effetto di innumerevoli startup che, partendo da idee giovani, solide conoscenze informatiche e gruppi di lavoro snelli hanno dato vita a un sempre maggior numero di servizi finanziari completamente digital-based. In questo contesto, le grandi banche hanno assistito al nascere di un vivaio di quasi-concorrenti, potenzialmente in grado di rimpiazzare la loro centralità nel settore. In aggiunta, gli istituti tradizionali più lungimiranti hanno percepito il pericolo delle grandi aziende tecnologiche, quali Google, Apple, Amazon (le cosiddette BigTech), le quali, facendo leva sulle proprie competenze digitali, sull’ampia quantità di dati a disposizione e sulla propria struttura patrimoniale, avrebbero potuto agevolmente acquisire queste piccole startup finanziarie o dar luce ad attività similari, creando così, in poco tempo, un nuovo (ed indesiderabile) assetto competitivo; constatata l’importanza di innovare e digitalizzare i propri processi e il proprio modello di business, per evitare di soccombere di fronte ai nuovi entranti, alcuni di questi istituti (gli incumbent) hanno dunque iniziato ad investire ingenti capitali, allo scopo di inglobare questi nuovi player – per beneficiare dei loro asset tecnologici e del loro know-how – o di sviluppare ex-novo una propria piattaforma bancaria digitale.
Negli ultimi anni, inoltre, il progressivo tendere all’Open Banking, ovvero a un ecosistema in cui istituti finanziari ed operatori esterni operano sinergicamente allo scopo di co-creare servizi e prodotti finanziari di qualità – suggellato da iniziative di riflesso mondiale quali la direttiva europea PSD2 – ha inasprito la concorrenza per le banche, che hanno visto avverarsi “l’incubo BigTech”; quest’ultime, infatti, hanno già messo piede nel settore finanziario: Google, ad esempio, ha ottenuto una licenza bancaria in Irlanda, Amazon sta offrendo da diversi anni sistemi di finanziamento ai propri clienti business, e per di più la quasi totalità di queste grandi aziende tecnologiche ha lanciato una piattaforma di pagamento di proprietà, quali Apple Pay, Google Pay e Facebook Libra. Volendosi tutelare da questa minaccia, alcune banche tradizionali hanno deciso di cooperare con queste società BigTech; ne sono un esempio Intesa Sanpaolo, la quale ha stretto una partnership con Amazon Italia per dare ai clienti la possibilità di convertire i propri risparmi bancari in buoni regalo Amazon con un bonus del 3%, Citibank, che ha avviato la sua cooperazione con Google, e Goldman Sachs, che ha creato una carta di credito in partnership con Apple.
Anche nell’ambito della relazione tra banche tradizionali ed imprese Fintech, la strada preferibile appare essere quella della collaborazione, ed entrambi ne stanno gradualmente prendendo consapevolezza. Da una parte, per i player di vecchia data, il vantaggio è quello di poter accedere a una mole di dati estremamente preziosa, a tecnologie e competenze digitali essenziali e all’agilità organizzativa e culturale tipica delle startup; dall’altra è importante, per le Fintech che mirano ad affermarsi, avere accesso alle economie di scala e ad una maggiore stabilità patrimoniale-finanziaria, così come poter disporre di un ampia conoscenza della normativa e di buone relazioni con le grandi istituzioni nazionali, asset, questi, non riscontrabili al di fuori dagli istituti finanziari tradizionali.
Oltre a ciò, la sinergia tra le due parti ha la potenzialità di accelerare il processo di crescita di entrambe, in quanto le “vecchie” possono integrare un importante fonte di fatturato e mettere a disposizione dei clienti un’esperienza utente più avanzata (senza, però, dover assumere rischi significativi né ingigantire la propria struttura), mentre le “giovani” possono accedere a un portafoglio di clienti indubbiamente maggiore e fidelizzato, effettuando automaticamente un notevole salto dimensionale.
La strada più seguita sembra essere quella della cooperazione tra questi due mondi, ma siamo lontani dal poter dire che essi hanno trovato il modo definitivo di coesistere. Il settore è infatti in una fase di notevole turbolenza, e le novità sono quotidiane. Sicuramente la pandemia da Covid-19 ha accelerato questo processo di digitalizzazione della finanza, staremo a vedere se e quando se ne potranno trarre ulteriori conclusioni.
Nel frattempo, noi di Kalaway cerchiamo di informarci ed aggiornarci quotidianamente e di divulgare questa conoscenza ai nostri lettori con l’obiettivo di fornire delle linee guida utili per orientarsi tra tutte le opportunità e soluzioni del mondo bancario e fintech.
Fonti e bibliografia
Techmonitor
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Osservatori: PSD2 e Fintech PwC
Borsa del Credito
https://it.wikipedia.org/wiki/Tecnofinanza
VILLANI F., GIUDICI G., 2021. Fintech Expert: Contro il logorio della banca moderna. FrancoAngeli
McKinsey
Forbes