Il mondo dell’ESG sta affrontando una rapida evoluzione verso la definizione di un quadro normativo sempre più chiaro e standardizzato, al fine di fornire alle imprese chiarezza e coerenza. A livello europeo, la principale normativa di riferimento in ambito ESG è la Non Financial Reporting Directive, in vigore dal 2014 e recepita in Italia nel 2016, secondo cui solo gli enti di interesse pubblico rilevanti hanno l’obbligo di pubblicare la Dichiarazione Non Finanziaria (DNF) riguardante i loro impegni rivolti al raggiungimento di obiettivi sostenibili. Tuttavia, attualmente la parola che meglio descrive la situazione globale è “confusione”. Non esiste infatti una definizione globalmente accettata dei fattori ESG e, a causa della crescente richiesta di dati ESG da parte del mercato, le aziende e le istituzioni finanziarie si stanno muovendo per adottare standard spesso discordanti, proposti da diverse organizzazioni.
Le banche, ad esempio, stanno chiedendo ai loro clienti di fornire informazioni attraverso complessi questionari ESG, che richiedono una conoscenza tecnica specifica. In questo contesto, le nuove normative europee, di cui parleremo in seguito, sono state introdotte per fornire un quadro standardizzato che potrebbe rendere vani gli sforzi compiuti fino ad oggi dalle aziende per ottenere un riconoscimento come “sostenibili”.
La principale novità delle nuove direttive europee è il passaggio da un sistema di valutazione basato su un rating ESG omogeneo (discusso negli ultimi due anni) a un sistema che prevede l’obbligo di divulgazione di informazioni secondo determinati standard definiti (Compliance). Ciò significa che le società saranno tenute a presentare Report di Sostenibilità redatti secondo standard ben definiti.
In particolare, di seguito vedremo:
Il Regolamento UE 2020/852 ha introdotto la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, basata su sei obiettivi ambientali, che devono essere raggiunti senza arrecare danni significativi agli altri obiettivi (clausola “Do No Significant Harm – DNSH”). Il raggiungimento di questi obiettivi viene valutato sulla base di soglie quantitative specifiche per ogni attività economica. Le società con più di 500 dipendenti vengono valutate in base al fatturato, alle spese di investimento (Capex) e alle spese operative (Opex) relative alle attività allineate alla tassonomia. Anche le banche sono valutate sulla base del Green Asset Ratio, che considera gli impieghi finanziari in progetti che perseguono obiettivi di sostenibilità.
La CSRD è una nuova direttiva che amplia il perimetro della Non Financial Reporting Directive e prevede l’applicazione di standard specifici a partire dal 1° gennaio 2024. Con questa normativa, il reporting diventerà una disclosure delle informazioni sui rischi ambientali e sociali a cui le imprese sono esposte e sull’impatto delle attività aziendali sui fattori ESG, secondo il principio della doppia materialità. Sarà inoltre obbligatorio sottoporre queste informazioni a un audit, evidenziando l’importanza crescente di questi temi.
La Banca Centrale Europea (BCE) richiede che le informazioni ESG siano integrate nei rating creditizi, il che significa che la Banca d’Italia sta già valutando l’approccio da adottare per aggiornare il calcolo del rating ESG delle banche. La sostenibilità diventerà quindi un elemento chiave nella valutazione del merito creditizio delle società.
Le nuove normative europee sulla sostenibilità comportano cambiamenti significativi per le imprese e le banche. Le società devono definire un percorso di adeguamento, ma potrebbero incontrare alcune difficoltà. La principale è il basso margine di discrezionalità concesso alle aziende, poiché tutti gli aspetti sono regolamentati in ogni minimo dettaglio, eliminando l’incertezza che ha caratterizzato il tema ESG fino ad oggi. Ci sarà una certa discontinuità a causa delle nuove logiche introdotte, che differiscono notevolmente da quelle precedenti, costringendo coloro che avevano acquisito competenze sulla Dichiarazione Non Finanziaria o sul rating ESG a ripartire da zero.
Inoltre, il cambiamento delle logiche potrebbe creare difficoltà nella preparazione e nell’integrazione delle informazioni nei sistemi gestionali interni, che potrebbero non essere configurati per “attività economiche”, come richiesto dalla tassonomia, ma secondo altri criteri ormai non validi per questo scopo. Sebbene le nuove normative si applichino solo alle aziende con un certo numero di dipendenti, l’impatto si estenderà indirettamente all’intera catena di fornitura, coinvolgendo anche le PMI, che dovranno adottare politiche sostenibili per poter continuare le loro attività. Questa logica si applica anche ai fornitori situati al di fuori dell’UE, i quali dovranno adeguarsi agli standard europei.
Le banche saranno spinte a finanziare sempre più attività in linea con la tassonomia per migliorare la loro valutazione in base al Green Asset Ratio. Pertanto, le aziende devono essere preparate, altrimenti rischiano di non ottenere finanziamenti. Anche le banche affrontano sfide, in particolare per la raccolta e l’elaborazione di dati conformi alla tassonomia in modo uniforme per tutte le società, al fine di integrarli nei rating creditizi e modificare le politiche di credito.
Si tratta di un percorso lungo, faticoso e costoso ma inevitabile per i motivi riportati sopra. Il mercato sta facilitando la transizione richiedendo alle aziende di concentrarsi, per adesso, sul raggiungimento solo di alcuni obiettivi quali ad esempio l’ottimizzazione dei costi per l’energia e la gestione degli immobili strumentali, un primo passo per iniziare ad agire.
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