Verso la fine degli anni ’80, il settore bancario era arrivato ad un livello di competitività non compatibile con la normativa di riferimento. La normativa sull’adeguatezza patrimoniale fu quindi introdotta come strumento volto a disegnare una sorta di “crescita controllata” dell’intermediazione creditizia e finanziaria.
Il contributo più noto del Comitato è rappresentato dall’Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali, che ha avuto la sua prima formulazione nel 1988 e che è stato progressivamente introdotto, non solo nei paesi membri, ma anche in numerosi altri Stati che hanno aderito alla convenzione, nota con il nome di Basilea 1.
Tali requisiti servono a far fronte sia al rischio di credito (intermediazione creditizia), sia al rischio di mercato (compravendita in proprio di strumenti finanziari).
Nell’articolo, affronteremo in dettaglio:
Basilea 1 si basava sui seguenti presupposti:
Ruolo fondamentale, quindi, viene giocato proprio dal rischio, definito di credito se legato alla inadempienza della controparte nel soddisfare un obbligo contrattuale, di mercato (introdotto dal comitato solo nel 1996 con specifico emendamento) se legato alla possibilità di perdite dovute a variazioni dei prezzi delle attività finanziarie intermediate.
La semplice logica a fondamento di Basilea 1 è la seguente: se si vuole incrementare l’attivo, e con esso anche il livello medio di rischio assunto, si deve tenere a riserva una maggiore quantità di patrimonio. Il requisito patrimoniale minimo rappresenta la quota di capitale destinata a proteggere i depositanti dal rischio che gli attivi bancari (prestiti alla clientela) subiscano delle perdite, risultando insufficienti a ripagare i debiti.
L’accordo prevedeva che le banche tenessero a disposizione un certo patrimonio, in modo da poter fare fronte all’eventualità̀ che alcuni prestiti non andassero a buon fine; per tutelare la clientela (risparmiatori) e la stabilità dello stesso sistema bancario.
Si assumeva infatti che, su migliaia di prestiti concessi dalle banche, un certo numero (una piccola percentuale) andasse in default e il capitale concesso in prestito non verrà rimborsato. È per tale motivo che l’accordo prevede un impegno, inteso come quota di capitale, da parte delle banche per fare fronte a tali eventuali perdite.
La misurazione del rischio di credito sotto Basilea 1 prevedeva una dotazione di capitale pari all’8% dei crediti concessi alla clientela. L’accordo prevedeva dei coefficienti di ponderazione in funzione al tipo di prenditore di prestito (paese, imprese, banche ecc) e di garanzie prestate. Il sistema di ponderazione dell’attivo si basava esclusivamente su cinque coefficienti:
20% per le attività verso enti pubblici, banche e imprese di investimento;
50% per i crediti ipotecari e le operazioni di leasing su immobili;
100% per le attività del settore privato;
200% per le partecipazioni in imprese non finanziarie con risultati di bilancio negativi negli ultimi due esercizi (non più in vigore).
Gli accordi di Basilea 1 consideravano il rischio di credito uguale per qualsiasi impresa privata applicando un coefficiente di ponderazione pari al 100%. Per comprendere meglio la metodologia di calcolo del rischio e del capitale da accantonare riportiamo l’esempio qui sotto:
Valore nominale prestito banca |
Coefficiente di ponderazione |
Valore attivo ponderato |
x8% |
Capitale che la banca deve detenere |
1.000.000 € |
100% |
1.000.000 € |
x8% |
80.000€ |
I limiti del primo accordo di Basilea divennero ben presto evidenti. La misurazione del rischio di credito solamente attraverso l’introduzione di un range limitato di coefficienti di ponderazione, la classificazione all’interno della stessa categoria di tutto l’insieme delle imprese non retate esternamente, rendeva il primo accordo molto limitato e poco efficace nella gestione dei rischi assunti dalle banche.
Verso la fine degli anni 90 iniziò il processo di revisione del primo accordo che portò alla redazione, nel mese di giugno 1999, di una nuova consultazione. Il nuovo documento aveva come obiettivo quello di elaborare un approccio globale alla regolamentazione del patrimonio. Tale documento prese il nome di Basilea 2, la cui versione definitiva fu approvata nel 2004 ed entrò in vigore il primo gennaio del 2007. Furono inoltre organizzate verifiche applicative, i cosiddetti studi d’impatto quantitativo (Quantitative Impact Studies).
Gli obbiettivi del nuovo accordo di Basilea erano:
Il nuovo accordo viene descritto come un’architettura basata su tre pilastri che si rafforzano reciprocamente:
I Pilastro. Requisiti patrimoniali minimi;
II Pilastro. Controllo prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale;
III Pilastro. Requisiti di trasparenza informativa.
L’intento dell’accordo di Basilea 2 era quello di stabilire una correlazione tra l’adeguatezza patrimoniale e il rischio delle attività bancarie. Il primo pilastro, che tratta questo problema, è di fatto molto dettagliato nel calcolo del rischio.
L’obiettivo fondamentale dell’accordo è quello di rafforzare la solidità del sistema finanziario internazionale promuovendo una solida ed accurata gestione del rischio. Il nuovo accordo, inoltre è importante anche per l’introduzione di due nuovi presupposti oltre a quelli dei requisiti patrimoniali minimi: il controllo delle banche centrali e la disciplina del mercato.